Parlare di Warren Harding è davvero un piacere. Sono sempre rimasto affascinato da questo personaggio, per lo più sconosciuto alle nuove generazioni, che ha segnato un’epoca e una traccia indelebile nella storia del grande alpinismo. Personaggio discutibile per molti motivi, e per questo non da prendere ad esempio, eppure unico, esclusivo, irripetibile a tal punto da essere stato per me una miscela inesauribile di negazione, audacia, tecnica artificiale, coraggio. Avere una natura molto simile alla Sua, anche se Lui ne è Maestro, mi ha favorito in questo giudizio.

Giuseppe Popi Miotti ha scritto righe indelebili su Warren, righe incancellabili. Ne riporto qualcuna tratta dal racconto (“Che avrebbe detto Warren?”) contenuto nel libro Racconti di Crinale (https://www.amazon.it/dp/B087H9643V ):

E Warren…? Il mitico Warren Harding? Per alcuni di noi basta quel nome a suscitare emozione. Nei nostri occhi passa un lampo d’intesa e un sorriso malizioso. A volte sbirciando chi ci sta vicino, e arrampica, il sorriso diventa complicità: noi sappiamo, noi capiamo, noi in qualche misura abbiamo condiviso e condividiamo. Guardiamo l’appiattito mondo della scalata moderna e nella nostra mente, per quanto non voluto, si fa strada un misto di orgoglio e sconsolatezza.

Detto questo, il vecchio “Batso” ritorna nelle nostre menti e nei nostri cuori affaticati di montagna, di passioni, di amori e malumori… di sogni; monumento ribelle contro i benpensanti, le morali e i moralisti, contro tutti i buoni propositi, le chiese e le parrocchie, contro i farisei e i conflitti d’interesse di tasca e di spirito. Stella fissa per chi non vuole mollare e crede che ci sia sempre una via d’uscita anche nella situazione più disperata.

Caro Warren, protagonista di monumentali scalate e alluvionali bevute, sei di un’altra epoca, di un’altra cultura, ma non fa differenza. Ci insegni la tranquilla, pervicace resistenza alla stupidità, compresa la nostra, e il tuo messaggio resterà per tutti quelli che lo vorranno cogliere. Harding il selvaggio, Harding che ha aperto la sua Via a colpi di martello, Harding il cocciuto, arido e duro come il granito, Harding che sapeva ridere dei golden boys dell’arrampicata come di sé stesso”. Non esiste immagine più bella, reale, poetica di Warren.

Nel 1957 apre la via, ancora oggi, più famosa di El Capitan (Yosemite Valley – California) e gli mette nome “The Nose”, il naso. 47 giorni di arrampicata (qualcuno ne conta 48) distribuiti su 16 mesi. Nel 1957 le vie aperte in Yosemite non erano poi granché, si contavano sulle dita di una mano: Lost Arrow (John Salathé e Anton Nelson), parete nord del Sentinel (John Salathé e Allen Steck), parete nord-ovest del Half Dome (Royal Robbins, Jerry Gallwas e Mike Sherrick) peraltro il primo VI grado degli Stati Uniti.

Nel luglio del 1957 Harding inizia la sua via al Capitan, 3.400 piedi (più di 1.000 mt.) di dislivello, in compagnia di Mark Powell e Bill “Dolt” Feuerer. Guadagnano metro su metro, grazie anche a chiodi ricavati dalle gambe di una stufa, una sfida enorme. Nei prati di El Capitan si raduna nel frattempo una folla che cresce di giorno in giorno, tanto che Il National Park Service costringe Harding a fermarsi, ma non sarà per molto. A marzo riparte insieme a Wayne Merry, George Whitmore e Rich Calderwood. Si fanno lentamente strada verso l’alto, soltanto gli ultimi 100 metri di parete richiederanno più di una settimana. Dopo aver resistito a tre giorni d’inferno, una tempesta vera e propria, Harding lotta per quindici ore consecutive, di notte, grazie a una pila frontale, martellando chiodi, finché finalmente, alle 6 del mattino, esce strisciando dal Nose. Sono in molti ad aspettarlo sulla cima spaziosa del Capitan, non manca certamente un buon bicchiere di vino.

Per l’alpinismo americano è un periodo di grandi soddisfazioni. Dal Camp 4 di Yosemite passano un numero di giovani alpinisti dotati di un talento incredibile. Camp 4 è un luogo particolare, alla base del Capitan, dove gli alpinisti campeggiano e dove non si fanno mancare “niente”, qualcuno addirittura si sposa fra quelle tende e quei tavoli di legno. Un luogo di aggregazione e di divertimento, un luogo dal quale tutti i più “grandi” sono passati, faccio solo qualche nome (Warren Harding a parte): Mike Sherrick, Glen Denny, Dean Caldwell, George Withmore, Royal Robbins, Tom Frost, Chuck Pratt, Galen Rowell, Steve Roper, Jim Baldwin, Ed Cooper, Jim Bridwell, Jim Madsen, Joe Fitschen … e potrei continuare. Un insieme di veri fuoriclasse.

Oltre a questi, ma non meno di questi in termini di talento, anche Yvon Chouinard, Richard Dorworth, Lito Tejada Flores e Doug Tompkins che insieme al britannico Chris Jones apriranno, nel 1968, alla parete sud del Fitz Roy (Patagonia) la ormai celebre “via dei californiani”. Lo scrivo, in particolare, per sottolineare come non avessero solo talento alpinistico ma anche imprenditoriale. Yvon Chouinard aveva già creato la Chouinard Equipment Ltd, distribuita dalla Great Pacific Iron Works e produttrice di attrezzi per alpinismo, che una volta ceduta assumerà il nome di Black Diamond Equipment, ancora oggi sul mercato. Non contento fonderà poi il marchio Patagonia, ancora oggi attivo. Da parte sua Doug Tompkins creò The North Face, casa produttrice di abbigliamento da montagna, che cedette dopo essere diventata una valida catena di numerosi negozi per dedicarsi completamente alla difesa dell’ambiente. Un altro breve inciso: Lito Tejada Flores sarà uno dei protagonisti di quello che è stato unanimemente definito “il più bel film di montagna mai prodotto”. Sono d’accordo, si tratta di una salita del Nose che racchiude ogni particolare di questa incredibile salita. Il film è del 1971 diretto da Fred Padula con l’incomparabile fotografia di Glen Denny. Lo trovate ancora su youtube.com se vorrete vederlo, lo consiglio.

Ma torniamo a Warren, al nostro “Batso”, così era chiamato. A cavallo fra gli anni 50 e 70 Warren apre un numero importante di vie che possiamo definire estreme: alla Washington Column, al Mt. Withney, alla Leaning Tower, alla Sentinel Rock, alla Lost Arrow Spire, al Liberty Cup, al Glacier Point, all’Half Dome. Ognuna di loro meriterebbe un capitolo a parte.

Poi nel 1970 mette a segno un altro capolavoro di tecnica e tenacia, sempre a El Capitan. Quella via prenderà il nome di The Wall of Early Morning Light conosciuta anche come Dawn Wall ovvero “Muro dell’alba”. Warren Harding ha già 47 anni e sceglie come compagno Dean Caldwell di 27. Dawn Hall diventerà, nell’opinione di tutti, una delle big wall più difficili del pianeta. Iniziano il loro progetto a fine ottobre 1970, resteranno in parete per 27 giorni dove pianteranno circa 330 spit di progressione, ma anche chiodi a pressione. Quelli che Royal Robbins, durante la sua ripetizione e forse, chissà, accecato dall’invidia, cercò di spaccare a martellate. Nel pieno di una clamorosa tempesta ambientale Harding e Caldwell rifiutano il soccorso del Park Service che non solo motiva l’intervento a causa delle condizioni atmosferiche ma anche perché si avvicina il giorno “del Ringraziamento”, che cade il quarto giovedì del mese di novembre, dove ogni attività del parco è sospesa. Harding invia alla base della parete un biglietto scritto a mano inserito dentro un barattolo dove scrive “Un soccorso non è voluto, non è garantito e non sarà accettato!”.

Cinque giorni dopo, il 18 novembre 1970, usciranno in vetta, giusto in tempo per il giorno del Ringraziamento, accolti da una folla di amici, giornalisti, reporters (altri riprendevano la scena da un elicottero) e un buon numero di bottiglie di vino. Ai reporters disse: “Dobbiamo essere i più miserabili, fradici, freddi e puzzolenti disgraziati immaginabili. Ma siamo vivi, veramente vivi, come la gente è di rado”. Le bottiglie di vino faranno il resto.

Warren riprenderà la sua vita, si spostava all’epoca con una Jaguar E completamente verniciata di color viola, al suo fianco la girl friend del momento, una ex Miss Cuba. Aprirà anche un’azienda produttrice di attrezzature per alpinismo che chiamerà B.A.T. Molti pensarono che fossero le iniziali del suo soprannome “Batso” (bat significa pipistrello) ma non era così. Quella sigla erano letteralmente le iniziali dell’impresa che indicavano “Basically Absurd Technology”, un programma. Nel 1976 pubblica l’unico libro della sua vita “Downward bound, a mad guide to rock climbing” dove non si smentisce. Il titolo dice letteralmente “Verso il basso, una cattiva guida all’arrampicata su roccia”. Conservo gelosamente l’edizione originale del libro.

Warren ci ha lasciati nel febbraio del 2002 a 78 anni per insufficienza epatica. Il fegato non ce la faceva più, non respirava più. Rileggetevi le frasi di Popi Miotti che ho trascritto all’inizio, forse ora avranno per Voi un senso più completo. Ciao grande Warren …. ci faremo due risate all’inferno, quando sarà.

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